INTERVENTO DI ANTONIA ROMANO AL CONGRESSO CGIL REGIONE CALABRIA
L’articolo che segue è la trascrizione dell’intervento di Antonia Romano al Congresso Regionale della CGIL Calabria che si è svolto l’11 gennaio 2023 a Reggio Calabria.
Buongiorno a tutte e a tutti.
Essere qui oggi e intervenire su temi che mi stanno molto a cuore è per me un grandissimo onore.
Insegnare è la mia azione politica quotidiana, il mio massimo impegno politico, forse il più serio. Farlo in un periodo storico come quello attuale ne amplifica la valenza, ma anche il senso di responsabilità.
La pandemia ci ha messo a dura prova, ha lasciato macerie ancor prima di essere definitivamente debellata, se mai sarà definitivamente debellata, la diffusione del virus SarsCov2.
Ogni giorno nella scuola possiamo constatare come la perdita di scolarizzazione in presenza abbia minato non solo conoscenze e abilità disciplinari, ma anche, soprattutto, la capacità di gestire relazioni interpersonali, il senso e il valore della cittadinanza stessa e questo accede in ogni fascia di età per ogni fascia di reddito.
La scuola dunque si trova a dover affrontare adesso più che mai una vera e propria emergenza educativa, facendo i conti con il disvelamento, grazie alla pandemia, di quelle che erano criticità se non nascoste, comunque che noi non vedevamo del tutto o che non volevamo vedere.
La scuola di massa, nata per sorreggere di fatto, attraverso un investimento culturale di massa, le sorti della democrazia, ha fallito i suoi obiettivi. E forse è per questo, per non raggiungere gli obiettivi politici per cui era nata, che è stata nel tempo erosa, demolita.
Non è un caso che la crisi delle democrazie occidentali, la crisi della nostra democrazia, si accompagni alla crisi profonda della nostra scuola. Educazione, cultura e democrazia sono poste ai vertici di un triangolo equilatero, del quale i lati sono costituiti da una relazione biunivoca il cui delicato equilibrio, se minato, trascina nel baratro scuola e democrazia.
Non esiste democrazia compiuta se non esiste una diffusa e ampia cultura democratica.
La scuola di massa avrebbe dovuto diffondere cultura contrastando innanzitutto le disuguaglianze sociali ed economiche, che determinano disuguaglianze culturali, avrebbe dovuto fondarsi sul concetto di equità, quello che impedisce nei fatti di fare parti uguali tra individui disuguali, avrebbe dovuto porre tutte e tutti, ciascuna e ciascuno nelle condizioni di avere pari opportunità di scoperta e sviluppo dei propri talenti.
Abbiamo fallito, al concetto di equità abbiamo lasciato che si sostituisse il pericoloso concetto di merito e la pandemia ci ha posto davanti agli occhi una realtà diversa, fatta di disuguaglianze macroscopiche nelle offerte e nelle opportunità educative che attraversano il paese, fatta di disuguaglianze culturali all’interno delle singole comunità nelle stesse popolazioni italofone che si radicalizzano senza riuscire mai a colmare la distanza tra chi può permettersi l’esposizione a stimoli culturali e chi queste possibilità non le ha.
La regionalizzazione differenziata, che realizza l’antico sogno dei leghisti padani di secessione del ricco nord dal miserabile sud, non sarà altro che l’istituzionalizzazione di ciò che nei fatti già esiste per la scuola come per la sanità.
Solo chi ha lavorato nelle scuole del nord, in particolare del nord est, percepisce il senso di ingiustizia che accompagna la constatazione di avere in Italia bambine e bambini di serie A e bambini e bambine di serie B, a volte di serie C.
Come possiamo educare alla democrazia se il luogo principale, il tempio dell’educazione, si rivela non democratico?
Viviamo e lavoriamo in una regione povera, povera economicamente, culturalmente, volutamente tenuta in queste condizioni soprattutto da chi, nella commistione tra poteri politico e criminale, trae beneficio dal mancato sviluppo dei nostri paesi, nei quali non potrà realizzarsi mai un adeguato sviluppo economico se non ci sarà un cambiamento culturale. Cambiamento che potrà e dovrà essere promosso soprattutto dalla scuola pubblica.
E diciamolo forte e chiaro che la scuola che noi vogliamo ricostruire è quella pubblica. Non crediamo alla favola della scuola paritaria inventata per aggirare l’ostacolo costituzionale dell’impossibilità di erogare finanziamenti pubblici alle scuole private.
Sappiamo come gli investimenti in risorse economiche destinate alla scuola pubblica sono sempre più risicati e sappiamo anche che la pandemia ha accelerato un altro preoccupante fenomeno che si sta diffondendo in tutta Italia e che trova spazi di radicamento anche nella nostra regione, anche in questa città, Reggio Calabria: il fenomeno delle scuole parentali, pericolosissimo e insidioso per la società democratica in cui noi che oggi siamo qui, proprio perché siamo qui, crediamo fortemente. Basta fare un giro nei canali telegram dedicati ai gruppi di sostenitrici e sostenitori della scuola parentale per comprendere le dimensioni del fenomeno.
La scuola pubblica italiana è in crisi e in questa crisi profonda dobbiamo chiederci qual è il ruolo del sindacato e come può intervenire il sindacato.
Il sindacato in cui credo io, per cui mi batto, per cui sono qui oggi anziché essere nei corridoi e nelle aule della mia scuola, è un sindacato che si riappropri del ruolo politico, del dovere/potere di condizionare scelte che hanno valenza politica e ricadute a cascata non solo in termini di retribuzioni e contratti, anch’essi di fondamentale importanza, ma anche in termini di crescita democratica della nostra società.
Il nodo è, a mio parere, nella crisi della politica che determina la crisi del sindacato che è organizzazione innanzitutto politica e per quanto riguarda la nostra categoria, la categoria di lavoratori e lavoratrici della conoscenza, si aggiunge a tutto ciò la crisi della partecipazione alla vita politica dei docenti e delle docenti, la precarietà del lavoro, lo scarso riconoscimento sociale della nostra professione, collegato fortemente allo scarso riconoscimento economico della stessa.
La strada che abbiamo il dovere di imboccare per una giusta valorizzazione sociale e culturale, oltre che economica, dei settori della conoscenza è oggi più che mai ricca di ostacoli, ancor di più nella nostra regione.
Facciamo i conti con sottodimensionamento di personale a tutti i livelli dell’organizzazione scolastica: docente, amministrativo, ausiliario e il nuovo dimensionamento che prevede questo governo provocherà ulteriori difficoltà di gestione. Facciamo i conti con il dover lavorare in strutture inadeguate non solo dal punto di vista del rispetto delle normative declinate nel Testo Unico sulla Sicurezza, ma anche inadeguate dal punto di vista della promozione di apprendimenti rispondenti ai reali bisogni educativi di giovani che vivono in contesti sociali a elevata complessità.
Abbiamo in Italia percentuali di NEET che superano di 10 punti percentuali la media europea e questi sono dati del 2021. Abbiamo in Italia 517000 persone giovani (18-24) che hanno come titolo di studi solo la scuola secondaria di primo grado.
Formazione in servizio, valutazione dei docenti e delle docenti, definizione di un paradigma educativo coerente con la storia politica del nostro sindacato, con i valori e i principi della nostra Costituzione per promuovere una scuola pubblica democratica, antifascista, non classista, laica, promotrice dei talenti di ogni singolo individuo, capace di promuovere ed educare alla pari dignità e alle pari opportunità tra uomini e donne, capace di contrastare lo sviluppo di violenze esercitate dagli uomini contro le donne attraverso una corretta educazione all’affettività e alla sessualità, capace di abbattere i muri per aprirsi alla comunità, rendendo l’intera comunità una comunità educante sono le nostre sfide, le sfide di cui noi dobbiamo farci carico, rivendicando il ruolo politico del sindacato nel disegno di una società in accelerata mutazione, destinata alla multietnicità, all’incontro trasformativo tra culture, immersa in una profonda crisi ambientale ed energetica.
Il tempo per riprenderci il ruolo che ci spetta, che spetta a un sindacato di sinistra è ora, ora o mai più.