La Donna e Dio, di Rosa Nobile
Nel capitolo secondo della Genesi biblica, vv. dal 21al 25, troviamo, dopo la descrizione della creazione del mondo, degli animali e dell’Uomo, la descrizione della creazione della donna, dalla costola di ADAM. Dice Dio della sua opera:
<<Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne . Sarà chiamata ISHA perché da ISH (uomo), è stata tratta.>>
Appare evidente il rapporto di subordine, che nella pratica quotidiana diventa quasi una sudditanza, delle due creazioni in successione. Dio non voleva lasciare l’uomo solo a gestire il mondo e tutte le sue creature, così pensò alla Donna come suo aiuto e la volle della stessa carne, cioè della stessa natura dell’Uomo.
Questa parità costituzionale ab ovo fa pensare ad un intento benevolo di Dio.
L’Uomo era stato da Lui creato per primo, ma la precedenza è un fatto esclusivamente temporale. La Donna merita la stessa considerazione dell’uomo, poiché ne condivide la propria natura. Parità dunque?
Purtroppo, poco dopo, nella stessa Genesi, capitolo 2, v.16, lo stesso Dio adirato per la disobbedienza al suo divieto si rivolge ad Eva con tremende parole:
<<Moltiplicherò le tue sofferenze e le tue gravidanze, con doglie dovrai partorire figlioli. Verso tuo marito ti spingerà la tua passione, ma lui vorrà dominare su di te.>>
Con questa pesante condanna possiamo considerare la “condizione della donna” come inesorabilmente predestinata.
Il carico delle gravidanze e dei parti, cioè la responsabilità principale della riproduzione è considerato compito quasi esclusivo della donna; e non solo il “fare figlioli”, ma anche seguirli nella loro crescita. È un duro lavoro full time quello a cui l’irascibile Dio biblico ha condannato la Donna.
La storia del mondo ci racconta di un considerevole numero di donne che hanno speso vita e denaro, per trovare valide alternative all’universalmente auspicato lavoro domestico: marito, figli, casa. E forse tutte, o quasi, hanno duramente pagato di persona. Le cosiddette suffragette non hanno mai goduto di troppa simpatia in società e da essa ne venivano emarginate.
Il mio femminismo non è per una ipotetica parità, che di fatto non può esserci, data la inappellabile sentenza di Dio, ma è per la “riappropriazione della nostra vita”.
Non lasciamo che siano altri, soprattutto gli uomini, i gestori della nostra vita; dobbiamo essere noi a capire cosa è bene per noi stesse e decidere di conseguenza.
Il mio femminismo è per una completa:
Autonomia, quella di agire per proprio conto
Indipendenza, con personale e serena capacità di giudizio
Autosufficienza, per poter bastare comunque a noi stesse
Emancipazione, ed avere sempre tutti i mezzi per poter gestire la nostra vita.
Rosa Nobile